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La Recensione, Ore 15.17. Attacco al treno

di Ciccio Capozzi

Attacco al treno: nel pomeriggio del 21 agosto ‘15, tre giovani americani in vacanza sventano un attacco jihadista sul tav per Parigi. La regia di questo film (USA,’18) e la produzione, attraverso la nota Malpaso, sono di Clint Eastwood, icona vivente del cinema mondiale: ben ottantasettenne, più lucido e pimpante che mai. I tre ragazzi, Sadler, Skarlatos e Stone, che li interpretano, sono  gli stessi dell’episodio, poi insigniti dalle massime medaglie civili dal Presidente Holllande.

E’ singolare questa decisione da parte del regista: come anche gli altri passeggeri; solo il terrorista è un attore. Ma Clint avrebbe preso anche lui a recitare se stessoin Attacco al treno, solo che… per ovvi motivi, ha dovuto desistere.

Il regista ha sviluppato la poetica del coraggio dell’uomo qualunque: quella riserva pressoché infinita di energia, di generosità e di dedizione che albergano nel cuore di molti eroi “per caso”, che solo di fronte alle emergenze inaspettate si rivelano a sé stessi, innanzitutto, e agli altri. Già il precedente “Sully” (‘16), e anche il prossimo film annunciato su una cooperatrice rapita in Africa, affrontano la stessa tematica “dell’uomo comune” posto di fronte ad una gravissima se non disperante situazione. Che senso ha questa visione?

Eastwood la collega – anzi, ne è un’articolazione e approfondimento – alla sua personale lettura/visione dell’ideologia del west. Dell’uno contro tutti. Che non accetta leggi ingiuste o soperchierie da parte di altri. Soprattutto, e in modo speciale, se sono delle sopraffazioni ammantate della copertura del potere istituzionale. E vi si ribella, addossandosene le responsabilità e gli esiti. O soprusi da culture totalizzanti, che oltre a non dare alcuno spazio alla libertà di scelte individuali, preconizzano ed aizzano ad ideologie che diventano distruttive e omicide: come in questo caso.  Anzi: per l’omicida votato all’ecatombe e al suicidio non c’è nessuna considerazione. E’ solo un brutto ceffo, molto intensamente reso da Ray Corasani, che deve essere tolto da mezzo.

Il lavoro fatto in Attacco al treno dalla sceneggiatrice Dorothy Blyskal è stato egregio. Nel mentre si svolgono i fatti del presente, la vita e la formazione di questi tre ragazzi sono illustrate in flashbacks che ce li ritraggono fin da bambini. Queste intersezioni col passato, però, non attenuano la drammaticità del momento centrale del film: ne danno il senso dell’incombenza e del dramma attraverso un montaggio efficace. Anche perché la sequenza dell’azione vera e propria, ha una durata limitata ed è scandita in “pezzi di montaggio” (inquadrature) brevi ed efficacemente concentrati. Il montaggio è di Blu Murray, che ha già lavorato con Eastwood, sia come assistente che come titolare. Le descrizioni dei ragazzi e del loro ambiente familiare e di crescita hanno una certa accuratezza e profondità.

Il più tosto e deciso dei tre ragazzi, Stone, addirittura, ad esempio è considerato a scuola un mezzo disadattato. Però ha un sogno: entrare nell’aviazione: per questo dimagrisce di decine di kg, s’imposta fisicamente e partecipa alle selezioni per l’ingresso nell’esercito. Non diventa ciò che voleva, ma assume competenze e conoscenze che gli tornano utili nel bloccare il tizio e salvare la vita ad un viaggiatore colpito. Il percorso di vita e di maturazione collettiva dei ragazzi è descritto con aderenza affettuosa ai contesti familiari.

La sceneggiatura pone attenzione a numerosi dettagli che permettono di far circolare un senso generale di genuinità e di sincera adesione ai contenuti educativi gestiti dalle madri single di due più stretti amici bianchi, cui si assembla, con immediata solidarietà e amicizia, il terzo di colore, pure lui sul ribelle, benché con una famiglia completa alle spalle, addirittura di Pastore.

Con intelligenza ed eleganza narrativa, e senza alcuna particolare sottolineatura enfatica, ma con leggerezza, empatia e svelta concisione, il modo con cui si conoscono e diventano amici, cioè la parte dedicata alla loro fanciullezza, è una delle pagine più belle del film Attacco al treno. Così anche i passaggi della loro vita professionale sono resi con spedita narratività. Il dato ancora adolescenziale che li accomuna è reso senza supponenza ma con caloroso rispetto della loro natura: sono dei ragazzoni.

E non interessa per nulla a loro e al regista di trasformarli in qualcosa di diverso e fasullo. Però è proprio l’insieme dinamico del loro essere che li trasforma in eroi: compresi quegli aspetti che abbiamo ascoltato venir definiti dalle solite autorità preposte (da Eastwood sempre, comunque e dovunque disprezzate), con sicumera e supponenza, mediocrità e/o gravi carenze. Sono descritti come degli eroi in una dimensione che rispetta assolutamente la loro natura: questo è il “mistero” su cui il sornione maestro ci “sfida” a misurarci. Perché non c’è dubbio che solo un grande del cinema poteva dare corpo e vita ad una materia così particolare, creandone uno spettacolo profondamente “diverso”.

Nel mentre Eastwood crea una narrazione hollywoodiana, ne sganghera le leggi: in modi non appariscenti, ma dall’interno. Sono talmente eroi sul serio, che risultano scialbi e di poca eroicità esteriore… Almeno se teniamo presenti altri film hollywoodiani, in cui i pochi, o l’uno, salvano i molti. Il film alla gran parte dei critici non è piaciuto. Non siamo di fronte ad altri capolavori del regista “dagli occhi di ghiaccio”; ma, a mio avviso, è un film riuscito.

Credo che non si sia colto quel dato di motivazione intellettuale, cui accennavo prima: la sfida. Il regista ha inteso darci una “lezione di realtà” sull’eroismo dell’uomo comune. Si è servito, genialmente, dell’insegnamento del cinema neorealista italiano. Allora era per illustrare in modi stilisticamente esemplificativi e totalizzanti, la grave crisi della società italiana; qui per far intendere che l’unica spinta positiva in grado di affrontare gli insidiosi attacchi del terrorismo, sia la presa di coscienza e di responsabilità individuali (laddove possibili). Quella dell’uomo semplice e ordinario: dell’eroe di tutti i giorni, che probabilmente si nasconde in ognuno di noi. La banalità costruttiva e aggregante dell’eroismo contrapposta a quella distruttiva e omicida del male.

 

Ciccio Capozzi, già docente del Liceo Scientifico

porticese Filippo Silvestri, è attualmente

Direttore Artistico del Cineforum

dell’Associazione Città del Monte|FICC al

#Cinema #Teatro #Roma di Portici.

 

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