Federico II e la sua cucina
L’influenza di Federico II sulla nostra cucina: presentato Il volume Le origini della cucina italiana, da Federico II a oggi a sostegno della candidatura della cucina italiana a patrimonio Unesco
CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Nell’Aula del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, è stato presentato alla stampa lo scorso 10 giugno il volume Le origini della cucina italiana, da Federico II a oggi, a cura di Paola Adamo, Valentina Della Corte, Francesca Marino ed Elisabetta Moro.
Il dibattito è stato moderato dalla giornalista Chiara del Gaudio.
La cucina italiana affonda le sue radici nel periodo di splendore e contaminazione del grande impero di Federico II di Svevia.
Lo afferma, attraverso una rigorosa analisi storica, antropologica e gastronomica, partendo da indizi e suggestioni del trattato medievale Liber de coquina, lo studio approdato nel volume Le origini della cucina italiana, da Federico II a oggi
Questo volume, realizzato in occasione degli 800 anni della nostra università, inizialmente intendeva trovare un collegamento tra il mondo attuale e il tempo di Federico II, tra il periodo, alto medievale e l’attuale sensibilità verso la gastronomia, ma gli studi per l’elaborazione hanno dimostrato come la gastronomia italiana, la cucina italiana, in qualche modo, è nata e si è sviluppata in quel periodo, nel periodo in cui nascevano le università, il periodo in cui c’era un momento particolare di benessere, di abbondanza di cibo, di alimenti e di ingredienti, ma soprattutto in un periodo in cui si mettevano insieme diverse tradizioni anche dal punto di vista gastronomico, e che era proprio quello che accadeva alla corte dell’imperatore svevo, alla corte di Federico II, ha spiegato Matteo Lorito, Rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Prima della rivoluzione industriale quello che faceva la differenza in una qualunque delle nazioni del globo era la resa del raccolto, la disponibilità annuale degli alimenti. L’anno era buono se il raccolto era buono, è così da 11.000 anni. Quindi la disponibilità dei prodotti alimentari era alla base dell’economia degli stati. Le guerre si facevano solo se c’era da mangiare. Gli Stati che hanno fatto le cose più importanti erano quelli che potevano assicurare la produzione, l’approvvigionamento alimentare, per cui la disponibilità e l’utilizzo dei prodotti erano parte della storia e della tradizione del mondo – ha sottolineato il Magnifico – Oggi sembra che la gastronomia abbia un ruolo meno fondamentale invece l’agrifood è la voce più importante del PIL italiano insieme alla moda e all’aerospazio. Quindi la sua importanza inevitabilmente ha determinato la storia delle comunità che si è coevoluta grazie alla disponibilità di cibo e al modo di conservarlo e di prepararlo, e si sono evolute anche rispetto alle tradizioni spesso legate alle religioni e agli usi locali. Quindi il cibo è sempre stato al centro di tutto. Per questo la storia della gastronomia italiana è la storia italiana, è la storia dell’Italia da quando era parte del Sacro Romano Impero fino ad oggi.
Il libro, che raccoglie interventi di Fulvio Delle Donne, Gianni Cicia, Massimo Ricciardi, Marino Niola, Luciano Pignataro, Raffaele Sacchi, Francesca Marino ed Elisabetta Moro e le ricette degli chef Corrado Assenza, Domenico Candela, Moreno Cedroni, Caterina Ceraudo, Enzo Coccia, Vitantonio Lombardo, Angelo Sabatelli, Mauro Uliassi, è a sostegno della candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco.
Stampato in un numero limitato di copie, è liberamente a disposizione di tutti sul sito di Fedoa – Federico II University Press, che lo ha realizzato
(http://www.fedoabooks.unina.it/index.php/fedoapress/catalog/book/549).
Nel volume, nel contributo dei professori Gianni Cicia e Raffaele Sacchi si legge: Il Liber de coquina è la pietra angolare della cultura gastronomica italiana. Nel basso Medioevo la cucina latina è definitivamente tramontata e si afferma un nuovo modello gastronomico che nasce in quel crogiuolo di culture che è la Sicilia di Federico II. Molti studiosi hanno giustamente affermato che il modello gastronomico europeo nasce dalla fusione della cultura latina e di quella germanica. Riferendoci al modello gastronomico italiano noi ampliamo questa lettura proponendo che esso affondi le sue radici nella Sicilia federiciana (intendendo con Sicilia tutta l’Italia meridionale, non solo quella insulare ma anche quella peninsulare), ambiente multiculturale dove convivevano latini, greci, normanni, svevi, lombardi, ebrei ed arabi.
E ancora: Dal Liber traspare con tutta evidenza come si sia potuta realizzare la transizione dalla cucina romana antica a quella medioevale e come la cultura gastronomica italiana si sia trasformata per la commistione dei costumi alimentari dei tempi di Roma con quelli delle popolazioni arabe, normanne, sveve, longobarde ed ebraiche. Tenuto conto del valore storico e culturale del ricettario federiciano, ne consegue tutto l’interesse di un più attuale confronto per indagare e possibilmente dare una spiegazione ai rapporti sia di affinità che di disuguaglianza tra quello che offrivano le mense medioevali e quanto compare oggi sulle nostre tavole.
Il volume è il risultato di un lavoro di squadra straordinario che ha coinvolto e visto interagire esperti di letteratura e storia medievale, di antropologia culturale, di nutrizione ed educazione alimentare, di economia, di botanica, di scienze e tecnologie alimentari, di chimica agraria e infine 8 maestri chef che operano in Campania, Puglia, Lucania, Marche e Sicilia, regioni legate a Federico II – ha spiegato la professoressa Paola Adamo, del Dipartimento di Agraria della Federico II, che ha sede nella Reggia di Portici – Un gruppo multidisciplinare di persone accomunato dall’interesse verso le scienze gastronomiche e che ha condiviso da subito un progetto comune: l’analisi storica di ricette e precetti gastronomici e salutistici di un Liber de coquina scritto 800 anni fa in lingua latina, e la rielaborazione di alcune sue ricette in chiave moderna. Un lavoro multidisciplinare che si colloca nel solco della tradizione Federiciana e che testimonia come la collaborazione e il confronto con persone anche molto diverse siano fondamentali per stimolare la creatività, continuare ad aumentare le conoscenze scientifiche e creare innovazione.
L’idea di approfondire il liber di coquina rientra nel processo di sviluppo delle conoscenze e competenze che ha caratterizzato il progetto delle celebrazioni Unina 2024 – ricorda la professoressa Valentina Della Corte, del Dipartimento di Economia Management Istituzioni della Federico II e delegata del rettore per le celebrazioni degli 800 anni dell’Ateneo – In tale ambito, sono stati individuati tre filoni principali: cultura, innovazione e sostenibilità, per inquadrare e valorizzare tutte le attività scientifiche dell’ateneo. In questo senso, il ricettario rientra trasversalmente a pieno titolo in tale processo, evidenziando sin dall’epoca di Federico II l’attenzione a due temi fondamentali: l’esaltazione dell’identità dei luoghi anche attraverso il cibo e la gastronomia, l’approccio salutistico e sostenibile in tale ambito. Questo approccio, così innovativo, apre il fronte all’analisi dell’oggi e del domani, proiettando le antiche ricette nel contesto contemporaneo, esaltandone le caratteristiche.
Questo libro nasce dall‘idea che ci sia una connessione storica, un ponte, tra il Medioevo e i nostri tempi, costruito sulla storia della cucina italiana. Questa ipotesi è dimostrata con i capitoli dedicati ad approfondimenti storico-antropologici; Il libro propone anche delle ricette in chiave moderna ispirate al Liber de Coquina elaborate da chef che rappresentano territori noti per essere stati frequentati dall’Imperatore – chiarisce la dottoressa Francesca Marino, docente di Educazione Alimentare e Nutrizione, che è anche autrice di un contributo – Il volume supporta la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità. Perché l’arte è la tradizione enogastronomica italiana non solo hanno una loro chiara identità ma vedono le loro origini in epoche lontane nel tempo in quelle che erano le grandi capitali del Mediterraneo.
Questo libro ribalta lo stereotipo che fa nascere al Nord la cucina italiana e rivela che in principio c’è la cultura gastronomica Normanno-Sveva sviluppatasi nel Medioevo tra Napoli e Palermo. Prova ne sia il fatto che nel “Liber de coquina”, cioè il ricettario di Federico II, si trovano le prime ricette di capolavori del genio culinario italico come la pasta alla genovese e la scapece. Ma anche lasagne, tortelli, gnocchi e ravioli. Nonché classici della dieta mediterranea come i broccoli soffritti nell’olio, le fritture di pesce e molti piatti a base di legumi e verdure, sottolinea la professoressa Elisabetta Moro antropologa, docente di Storia della Gastronomia alla Federico II – Di fatto il Liber sposta al Sud l’origine della cucina italiana e racconta l’inizio della sua fortuna europea.
Il professore Fulvio Delle Donne, ordinario di Letteratura Medievale e Umanistica all’Università degli Studi della Basilicata, racconta: Secondo un cronista del tempo, il francescano Giovanni di Winterthur, fu solito digiunare e mangiare una sola volta al giorno, secondo una pratica in lui indotta non da ascetismo o da devozione religiosa, come sarebbe stato commendevole per la salvezza dell’anima, ma dal desiderio di conservare in salute il corpo. Di certo, Federico amò sulla sua tavola ampie varietà di cibi, dalle verdure, alla carne e al pesce, conditi con salse spesso agrodolci e speziate, compresa la “askipecia”, la scapece della nostra tradizione, ancora abbondantemente usata.
Dalle ricette del Liber, ad esempio, si trovano similitudini anche con paste tipo cavatelli, orecchiette, lasagne e trafile lunghe del tipo delle linguine, spaghetti e vermicelli.
La pubblicazione riporta anche una selezione di ricette del Liber de coquina e un ricettario con piatti realizzati da chef. La dimostrazione che i principi riportati nel Liber si ritrovano oggi nell’alta cucina.
Al termine della presentazione alla stampa, immaginando che potesse essere presente in una banchetti dell’Imperatore, il birrificio artigianale campano Kbirr, ha fatto omaggio all’Accademia della birra Federiciana, con il logo dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, prodotta proprio in occasione dei festeggiamenti degli Ottocento anni dell’Ateneo.