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Il Real Casino di Pesca del Chiatamone

Penultima domenica di quarantena: il nostro autore ci accompagna nella visita al Real Casino di Pesca del Chiatamone, altra opera borbonica

di Lucio Sandon

La mia camera con la sua porta alta, da direttamente fuori, su queste terrazze, che a destra della casa finiscono in un giardino dove sono seduto adesso. Il sole giace sul mare, e dietro il sole, proprio di fronte a me, accanto al promontorio sorrentino si fa vedere il profilo di Capri. (Rainer Maria Rilke, scrittore e poeta boemo, ospite del casino di Chiatamone.)

Il toponimo Chiatamone deriva da platamon, in greco una grotta scavate nella roccia. Nella zona, la parete di tufo viene scavata da millenni per estrarne il materiale da costruzione: alcune delle grotte più vecchie venivano ancora utilizzate a metà del cinquecento per i riti orgiastici e propiziatori del culto di Mithra e Serapide, finché il vicerè di Napoli, il marchese Don Pedro de Toledo non le fece murare.

Tutta la zona affacciava direttamente sull’arenile, dove la popolazione amava bagnarsi e bere le preziose acque di una sorgente ferrosa e sulfurea, acque che venivano anche vendute in tutta la città fino agli anni ‘70 in contenitori di terracotta detti mummere.

Il Casino Reale di Pesca  era una delle pochissime costruzioni lato mare del vecchio Chiatamone. La costruzione immersa in un bosco di lecci, venne fatta costruire a metà del settecento da Michele Imperiali IV principe di Francavilla, gentiluomo di camera del re di Napoli e Sicilia e Maggiordomo Maggiore del re.

La villa sorgeva su un banco di tufo un po’ sopraelevato di fronte a Castel dell’Ovo, ed era dotata di un piccolo molo per modeste imbarcazioni. Francavilla morì senza eredi, circostanza che grazie alle leggi e alle consuetudini dell’epoca consentì prima a Murat e poi ai Borbone di ereditarla direttamente.

La magione fu goduta in particolare dalla regina Maria Carolina, ma le cronache raccontano di soggiorni balneari da parte di tutti i monarchi che si sono succeduti a Napoli.

Secondo le cronache, attorno al 1770 fra gli invitati ad un pranzo di gala con tanto di ambasciatori, c’era anche Giacomo Casanova, che ben descrisse la villa del principe nelle sue memorie. Una prima raffigurazione della residenza risale al 1794, nella decorazione di un piatto appartenente ad un “servizio per imbandigione” di Maria Carolina, dove compare sul lato esposto al mare anche un padiglione aperto, usato come caffehaus, costruzione che scomparve nel corso di una radicale ristrutturazione della residenza. Comparvero allora le decorazioni neoclassiche allora di moda e il giardino laterale all’edificio diventò un boschetto di lecci.

Il 31 dicembre 1814 proprio nel boschetto che una volta circondava il palazzo, si tenne un splendido ballo organizzato dalla principessa di Galles, Carolina di Brunswick moglie del futuro Giorgio IV d’Inghilterra, in onore dei sovrani Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte, di cui era ospite. Si narra che i folli festeggiamenti, durante i quali la principessa si esibì nei panni di novella Partenope omaggiante Murat all’interno dell’audace tableau vivant che aveva allestito sotto una palma del giardino, fossero durati fino all’alba, e che poi la signora, troppo stanca per aver tirato fino a tarda ora, l’indomani non avesse avuto le forze per presenziare al classico Te Deum celebrato per l’inizio del nuovo anno.

Nel 1860 il palazzo fu assegnato da Garibaldi ad Alexandre Dumas padre, come riconoscenza per l’aiuto che questi gli aveva prestato nella spedizione dei Mille. Dumas vi tenne la redazione del giornale L’Indipendente, e vi abitò diversi anni.

Fino alle sistemazioni ottocentesche del lungomare, con l’allargamento e la rettifica di via Partenope e la colmata a mare per la creazione del Rione Santa Lucia negli anni successivi, le strade costiere sotto l’altura di Pizzofalcone e Monte Echia erano via Santa Lucia e via Chiatamone, strade che allora si affacciavano direttamente sul mare.

Nel 1864 il palazzo divenne Hotel Washington, mentre negli anni ’90 dell’Ottocento fu rilevato dagli Hassler, famiglia di albergatori svizzeri del canton Grigioni, che ne fecero l’hotel Hassler, albergo che dopo un ventennio di gloria e successo chiuse e venne confiscato dallo Stato nel 1918.

Nel 1922 l’immobile fu ceduto all’impresa De Lieto come compenso per la costruzione della nuova Facoltà di Economia e Commercio che insiste sullo stesso lotto dal lato mare.

Oggi l’ex residenza reale è un condominio per civili abitazioni, con pochissime tracce del passato splendore.

In memoria dell’antica gloria, la via attigua è stata intitolata ad Alexandre Dumas padre.

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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