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Vaccini, ritorno alla normalità

Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi (Na), ove è titolare di Incarico professionale di consulenza, studio e ricerca di Adolescentologia, sottolinea l’importanza delle vaccinazioni per il ritorno alla normalità quotidiana

Il Covid-19 sembra allentare la presa e il Governo con l’ultimo decreto prevede tappa dopo tappa la ripresa di tutte le attività.

Il primo passo è stato il 15 maggio, con l’abolizione della quarantena da Paesi Ue, Regno Unito e Israele, che hanno raggiunto un livello elevato di copertura vaccinale. Per gli Stati Uniti si attenderà un mese in più, fino a metà giugno.

Il 19 maggio il coprifuoco è slittato dalle 22 alle 23. Sarà portato a mezzanotte dal 7 giugno e abolito dal 21 giugno.

Dal 22 maggio i centri commerciali, così come i negozi all’interno di mercati comunali e rionali, restano aperti anche nei weekend, nei festivi e nei prefestivi, mentre dal 24 maggio hanno riaperto finalmente anche le palestre (sempre con le regole).

Dal primo giugno scatterà la riapertura dei ristoranti anche al chiuso e anche a cena, e nei bar si potrà consumare al bancone: ai tavoli non si potà essere più di quattro, a meno che non si tratti di conviventi.

Dall’1 giugno si potrà tornare allo stadio o in impianti sportivi all’aperto; i biglietti dovranno essere acquistati online. Ci sarà comunque un tetto di spettatori: al massimo gli impianti potranno essere riempiti al 25% della loro capienza e non potranno ospitare più di 1000 spettatori all’aperto e più di 500 al chiuso.

Dal 15 giugno potranno riprendere – anche al chiuso – feste e ricevimenti per matrimoni, visite ai parchi tematici, convegni in presenza: tutti i partecipanti dovranno avere il “green pass” e cioè: o il certificato di vaccinazione, o quello di avvenuta guarigione, o un tampone negativo fatto nelle 48 ore precedenti.

Dall’1 luglio riapriranno anche le piscine, gli impianti sportivi al chiuso, i centri benessere, le sale giochi e scommesse, i bingo e casinò, i corsi di formazione in presenza.

Tutto ciò è reso possibile dal fatto che tutti i gli indicatori dell’epidemia stanno mostrando un progressivo miglioramento: l’indice di contagiosità (Rt), l’incidenza settimanale di casi, l’indice di positività al test (quanti dei soggetti testati risultano positivi), la percentuale di casi attualmente positivi sulla popolazione nazionale, la letalità (rapporto decessi su numero di positivi) e la mortalità (rapporto decessi su popolazione), i nuovi ingressi in terapia Intensiva, i tassi di saturazione dei posti letto in terapia intensiva e in area medica (che esprimono la pressione sui servizi ospedalieri).

Con la progressiva riduzione dei nuovi casi, cresce la percentuale di casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti: un indice che l’epidemia è sotto controllo, un altro passo verso la normalità..

Il colore di tutte le Regioni è attualmente giallo ma presto andranno in zona bianca le Regioni con 3 settimane consecutive ad incidenza sotto i 50 casi per 100mila abitanti.

Sicuramente, come accadde lo scorso anno, le restrizioni hanno contribuito al miglioramento dell’epidemia, in uno con l’arrivo della stagione calda, ma la differenza quest’anno sta nell’avanzamento della campagna vaccinale, che fa ben sperare in un controllo duraturo della circolazione virale sul territorio, a differenza di quanto accaduto la scorsa estate.

I vaccini anti-Covid si stanno rivelando infatti molto efficaci. Secondo una recente indagine dell’Ordine dei Medici di Torino su quasi 12.000 sanitari, il vaccino (la stragrande maggioranza ha ricevuto Pfizer) ha protetto quasi il 99% dall’infezione, mentre il 97% non ha nemmeno ospitato il virus nelle prime vie aeree, dimostrando dunque che il vaccino difende non solo dal rischio di ammalarsi, ma anche da quello di essere potenziale veicolo di contagio.

Anche lo studio Sorveglianza vaccini Covid-19 dell’Istituto Superiore di Sanità è molto incoraggiante: i dati sull’impatto della vaccinazione anti Covid in Italia al 3 maggio 2021, relativi a 13,7 milioni di persone vaccinate, ha portato al crollo dell’80% delle infezioni, del 90% dei ricoveri e del 95% dei decessi. La risposta immunitaria nei vari studi risulta addirittura più alta nei soggetti vaccinati rispetto a quella riscontrata nei soggetti che hanno sviluppato l’infezione naturale, motivo per cui si consiglia eseguire il vaccino anche in chi ha già contratto il virus per rinforzarne l’immunità.

Peraltro, nei soggetti che già hanno contratto il Covid la risposta è ancora più alta, per cui è sufficiente una sola dose. L’indicazione è di effettuarla ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa. Poiché l’immunità al Covid è legata non solo agli anticorpi, ma anche alla risposta cellulo-mediata (linfociti T), che non misuriamo, e che è responsabile della memoria immunologica che entra in gioco quando si è riesposti al virus, anche chi sembra non aver sviluppato molti anticorpi può essere protetto.

Inoltre, la risposta cellulo-mediata è quella che può risentire di meno delle varianti virali che stanno emergendo. Gli studi confermano anche una buona protezione già dopo 2-3 settimane dalla prima dose di vaccino. Ciò consente, per i vaccini per i quali sono previste due dosi, l’allungamento dell’intervallo temporale tra la prima e la seconda somministrazione, offrendo così una prima protezione a un maggior numero di persone.

Da qui l’estensione temporale per i richiami con i vaccini di Pfizer e Moderna inizialmente previsti, rispettivamente, a 21 e 28 giorni, entro i 42 giorni. Sembra addirittura che arrivare a 84 giorni migliorerebbe ulteriormente la risposta immunitaria: uno studio persone sopra gli 80 anni che hanno aspettato 12-13 settimane per la seconda dose Pfizer hanno avuto un picco di risposta anticorpale maggiore rispetto a chi ha avuto la seconda dose a 3 settimane dalla prima. Tutti i vaccini disponibili si sono dimostrati efficaci nel prevenire malattie gravi, ricoveri e decessi. Uno studio italiano su 37 mila persone coordinato dall’Università di Ferrara ha per esempio documentato che tutti e tre i vaccini usati fino a fine aprile- Pfizer, Moderna e Astrazeneca- hanno ridotto del 95% i tassi di infezioni e del 99% i casi di malattia conclamata; il vaccino AstraZeneca ha manifestato un’efficacia che sfiora il 100%, anche dopo una singola dose. Uno scenario probabile è che ci sarà bisogno di una terza dose, all’incirca dopo 12 mesi, di vaccini aggiornati contro le nuove varianti e poi di una rivaccinazione annuale, anche se alcuni studi suggeriscono che la risposta immunitaria contro il Sars-CoV-2 sia di lunga durata, forse per tutta la vita.

I benefici dei vaccini anti-Covid sono inoltre rinforzati dalla loro documentata sicurezza. Uno studio comparativo dei vaccini Pfizer e AstraZeneca condotto su quasi 630mila cittadini britannici e pubblicato su Lancet Infectious Diseases ha trovato effetti collaterali lievi per 1 vaccinato su 4, che si manifestano solitamente nelle prime 24 ore dopo la somministrazione e regrediscono in 1-2 giorni.

Gli effetti collaterali sistemici (come cefalea, astenia/stanchezza, debolezza, brividi, nausea, diarrea, febbre, dolori articolari e muscolari) sono stati segnalati dal 13,5% dei pazienti dopo la prima dose di Pfizer, dal 22% dopo la seconda di Pfizer, dal 33,7% dopo la prima di AstraZeneca. I soggetti più colpiti sono stati gli under-55 e le donne.

Per coloro che avevano già avuto l’infezione, la probabilità di accusare effetti collaterali sistemici è risultata 3 volte maggiore dopo Pfizer e 2 volte maggiore dopo AstraZeneca. Reazioni rare segnalate al vaccino Pfizer sono ingrossamento dei linfonodi, difficoltà ad addormentarsi e debolezza nei muscoli di un lato del viso (paralisi facciale periferica). Reazioni di questo tipo sono state notate più frequentemente dopo la seconda dose.

Anche le reazioni allergiche sono molto rare: il Pfizer è associato a un tasso di 5 casi di grave reazione allergica per ogni milione di dosi; Moderna a 3 casi per milione di dosi. La maggior parte delle reazioni allergiche si sono verificate dopo la prima dose, entro 30 minuti dalla somministrazione. Per il Pfizer la causa è un eccipiente, il polietilenglicole (Peg), noto anche come macrogol. Non sembra che chi ha allergie inalatorie o alimentari sia più predisposto a questa reazione al Peg.

Resta la preoccupazione per i casi molto rari che si sono verificati, entro 2 settimane dalla prima dose della vaccinazione Astrazeneca e di quella del vaccino Johnson & Johnson (J&J), di trombosi venosa o arteriosa in sedi atipiche (cerebrali, addominali) associata a bassi livelli di piastrine nel sangue, mortale in 1 caso su 5. La reazione, definita “trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino” o “trombosi con sindrome da trombocitopenia” è probabilmente su base auto-immunitaria, scatenata dal DNA dei vettori adenovirali. Il meccanismo sarebbe simile a quello della trombocitopenia indotta da eparina: sviluppo di anticorpi anti-PF4, fattore piastrinico 4, che attivano le piastrine. Il fenomeno ha maggior prevalenza nel sesso femminile e nella popolazione al di sotto dei 60 anni.

Non sembra essere possibile attualmente individuare specifici fattori di rischio o misure preventive (es. prendere un farmaco antinfiammatorio o anticoagulante). Il rischio trombotico non è stato individuato invece per i vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna) e nemmeno per gli altri vaccini basati su adenovirus modificato, come il CanSino della Cina e lo Sputnik V russo (per i quali però ci sono altri problemi legati alla scarsa trasparenza dei dati e, per quanto riguarda lo Sputnik, secondo l’agenzia regolatoria brasiliana, che lo ha rifiutato, alla presenza di particelle di adenovirus replicanti). In ogni caso, per i vaccini AstraZeneca e J&J, le autorità scientifiche concludono che i loro benefici superano i rischi.

Basti tener conto che il rischio di trombosi è molto più alto contraendo il Covid-19 che dopo il vaccino, dove è stimato circa di 1 caso su 100.000 persone vaccinate. Il rapporto beneficio/rischio sale soprattutto con l’aumentare dell’età dei soggetti, quando la mortalità da infezione aumenta, e con il crescere della circolazione virale, che fa aumentare la probabilità di ammalarsi.

Obiettivo delle campagne vaccinali è raggiungere l’immunità di gregge, che richiede che sia vaccinato l’80% della popolazione. Per l’Italia, si mira a conseguire questo risultato per fine settembre.

Un rischio ai fini dell’acquisizione dell’immunità nella popolazione è il diffondersi delle varianti virali, che, oltre a presentare una maggiore trasmissibilità, potrebbero essere resistenti alle difese immunitarie sviluppate contro infezioni e vaccini.

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Attualmente la variante inglese è la più diffusa in Italia (circa il 90% delle infezioni), seguita dalla brasiliana con una diffusione molto più bassa (4,5%), anche se in alcune Regioni del Nord e del Centro supera il 10%..

Attualmente all’1%, la prevalenza delle varianti sudafricana e nigeriana, pur con livelli di diffusione più elevati in alcune Regioni. La maggior parte delle infezioni da varianti sono contratte sul territorio italiano, ad eccezione di quelle causati dalla variante indiana, che sono tutte da importazione.

Rilevata per la prima volta in India lo scorso ottobre, la variante indiana si sta diffondendo rapidamente nel mondo grazie alla sua elevata trasmissibilità. Il vaccino Pfizer sembra efficace contro la variante inglese e quella sudafricana, meno sulla brasiliana.

Moderna sta sviluppando due richiami aggiornati contro le varianti, uno diretto contro la sudafricana, l’altro multivalente, che combina il vaccino ora in uso e quello contro la variante sudafricana, da somministrare magari come terza dose di richiamo.

Il vaccino AstraZeneca sarebbe efficace contro le varianti escluso la sudafricana, per cui l’azienda sta aggiornando il suo vaccino per renderlo efficace anche contro questa variante. I vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca si sono rivelati efficaci contro la variante indiana, attualmente al 7.5%, dopo le due dosi. I dati dello studio Ensemble sul Johnson & Johnson, pubblicati sul New England Journal of Medicine, dimostra che, con una singola somministrazione, il vaccino offre un alto livello di attività su tutte le varianti. Il vaccino cinese Sinovac essendo un vaccino convenzionale, che utilizza virus intero inattivato, e non solo la Spike, potrebbe proteggere dalle mutazioni della Spike.

Vaccinare nel più breve tempo possibile il maggior numero di persone è una strategia importante per bloccare la diffusione delle varianti, che si sviluppano quanto più il virus circola da persona a persona, e ritornare così alla normalità quotidiana.

 

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